Onorevoli Colleghi! - Il giudizio abbreviato, quale rito alternativo al procedimento penale ordinario, è un giudizio di merito sulla colpevolezza o sull'innocenza dell'imputato che ha luogo nella fase dell'udienza preliminare, oppure in sede di conversione di un altro rito speciale.
      Caratteristica saliente è la rinuncia da parte dell'imputato al dibattimento e quindi all'acquisizione delle prove nella dialettica tra le parti, potendosi utilizzare a fini probatori gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero raccolti nel corso delle indagini preliminari, caratteristica, questa, che fa - o dovrebbe fare - del giudizio abbreviato un giudizio allo stato degli atti.
      La ragione per la quale l'imputato è indotto a rinunciare al dibattimento, e quindi alle garanzie proprie di questa fase processuale, chiedendo di essere giudicato immediatamente, sta nel fatto che l'abbreviato è un rito premiale e cioè che, in caso di condanna, si produce il beneficio della riduzione secca di un terzo della pena.
      La natura deflattiva e, quindi, alternativa di questo rito è stata profondamente modificata - per non dire snaturata - dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, cosiddetta «riforma Carotti» (e successivamente dal decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4) che ha reso drammaticamente più disinvolto il ricorso a tale giudizio, anche da parte di quanti sono chiamati a rispondere di reati molto gravi, puniti con la pena dell'ergastolo, in virtù della prospettiva dello sconto di pena.

 

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      Sostanziali sono le modifiche apportate dalla citata riforma del 1999.
      Innanzitutto la possibilità di acquisizione di nuove fonti di prova - elemento questo che cambia intrinsecamente l'essenza del giudizio - in due diverse circostanze: nella prima quando l'imputato sceglie il rito, ma a condizione che sia ammessa una integrazione probatoria da effettuare in udienza davanti al giudice. Quest'ultimo può rigettare l'istanza solo quando ritenga che le prove siano irrilevanti o inammissibili, o quando la loro assunzione determinerebbe un appesantimento dell'iter dell'udienza.
      Nella seconda circostanza il supplemento probatorio è riconosciuto tutte le volte in cui, ammesso il giudizio, il giudice ritiene di non poter decidere allo stato degli atti, essendo necessaria una integrazione, finalizzata all'acquisizione di tutti gli elementi necessari per la decisione.
      È evidente come in entrambi i casi si altera profondamente non solo la struttura agile del rito, ma la sua caratteristica di economia processuale e deflattiva del carico giudiziario, al punto che il giudizio non è più, come dovrebbe essere, un giudizio solo allo stato degli atti.
      L'ulteriore modifica apportata dalla «riforma Carotti» è il venire meno di qualunque potere di consenso o meno sulla scelta del rito da parte del pubblico ministero, diventando la richiesta dell'imputato in ordine alla sua scelta non più sindacabile da parte del giudice che ha l'obbligo di accogliere la richiesta (salvo l'ipotesi dell'articolo 438, comma 5, del codice di procedura penale).
      Modifica ancora più inaccettabile è il ricorso al giudizio abbreviato anche per i delitti più gravi puniti con la pena dell'ergastolo, con l'effetto che, in virtù di una mera scelta processuale insindacabile da parte delle altre parti processuali, la pena viene automaticamente ridotta di un terzo e, nella specie, all'ergastolo viene sostituita la reclusione di anni trenta, mentre all'ergastolo con isolamento diurno viene sostituita la pena dell'ergastolo.
      Se collegare la riduzione di pena alla scelta del rito appare, pur con varie perplessità, plausibile in via generale per motivi legati ad esigenze deflattive, non pare accettabile per quei reati che, proprio per la loro gravità, il codice penale punisce con l'ergastolo e, sotto il profilo processuale, si ritiene anche di sottoporre al giudizio diretto del popolo attribuendone la competenza alla corte di assise.
      Inoltre, se per taluni reati particolarmente gravi il legislatore ha previsto la pena di cui all'articolo 22 del codice penale, nel rispetto dei princìpi di legalità, proporzionalità e inderogabilità, non si comprende come per quegli stessi delitti l'ordinamento possa poi riconoscere una diminuzione di pena così evidente. Ne scaturisce inevitabilmente una grave incoerenza sia sul piano legale che su quello del principio di giustizia e di garanzia.
      Alla luce di tutto ciò, la presente proposta di legge è volta a riportare la disciplina del rito abbreviato quanto più possibile in linea con quelle che erano le sue originarie previsione e funzione, escludendo, innanzitutto, la possibilità di ricorrervi per i reati che prevedono la pena dell'ergastolo.
      In tale senso si muove l'articolo 1, che modificando l'articolo 438 del codice di procedura penale, esplicitamente ne esclude l'applicabilità ai reati puniti con la pena dell'ergastolo.
      Per ragioni di coerenza ordinamentale, il comma 2 dello stesso articolo 1 reca la soppressione del secondo e del terzo periodo del comma 2 dell'articolo 442 del codice di procedura penale, che prevedono la riduzione a trenta anni in caso di reato punito con l'ergastolo e la pena dell'ergastolo senza isolamento, nel caso di ergastolo con isolamento diurno.
      L'articolo 2, che sostituisce l'articolo 441-bis del codice di procedura penale, sancisce che nei casi in cui, a seguito di una integrazione probatoria, si è proceduto alla modifica dell'imputazione, il procedimento prosegue d'ufficio secondo il rito ordinario, nel corso del quale solo attraverso una formazione della prova nella dialettica delle parti è possibile accertare l'innocenza o la colpevolezza dell'imputato.
 

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